Promuovere una cultura produttiva sensibile all'ambiente per contribuire attivamente al ripristino e alla salvaguardia delle risorse naturali e delle biodiversità. È con questo intento che vent’anni fa è nata Bioforest, costola di Valcucine, fondata da Gabriele Centazzo.
L’associazione Bioforest finanzia, anche grazie a numerosi partner tra cui Gruppo Illiria, progetti finalizzati alla riforestazione e al rimboschimento di ecosistemi forestali distrutti o degradati in Italia e nel mondo, seguendo rigorosi criteri ecologici in sintonia con le caratteristiche delle aree interessate, per tutelarne la biodiversità vegetale e animale originariamente presente. Inoltre, promuove e sostiene attività di ricerca scientifica divulgandola attraverso mezzi di informazione, incontri, conferenze e dibattiti volti a portare visibilità ai progetti attivi.
Come ama definirla il suo fondatore, è la prima associazione ambientalista degli industriali, un polo per restituire all’ambiente quello che ci prendiamo.
Abbiamo chiesto a Gabriele Centazzo, fondatore di Bioforest, di rispondere ad alcune domande sul presente, il passato e il futuro dell’Associazione.
Partiamo dall’inizio. Gabriele, lei ha un sogno, qual è?
“Il mio sogno è avere un mondo senza rifiuti, sembra un’utopia ma abbiamo un esempio pratico intorno a noi: Madre Natura produce miliardi di cose generando zero rifiuti, utilizza l’economia circolare, è ciò che dobbiamo imparare a fare”.
Secondo lei cosa dovrebbero fare le aziende nei prossimi 10/15 anni per proteggere il nostro Pianeta?
“Semplice. Imparare a realizzare un’economia circolare progettando in modo nuovo e pensando anche al fine vita di un prodotto. Le risorse della terra non sono infinite risulta quindi indispensabile lavorare sul concetto di “dematerializzazione” che significa creare un oggetto o un servizio utilizzando dieci volte meno materia ed energia rispetto ad oggi.
Oggi il 20% della popolazione mondiale consuma l’80% delle risorse della terra mentre l’80% consuma solo il 20%. Se dunque tutta la popolazione mondiale volesse avere - come di diritto - le stesse cose di noi occidentali servirebbero 5 pianeti come il nostro. L’industria deve iniziare a lavorare e a progettare pensando alla lunga durata del prodotto e non giocare con l’obsolescenza programmata. Più dura un prodotto meno impatto avrà sull’ambiente”.
Oggi Bioforest è diventato un progetto globale, ci parli, ad esempio, del progetto Otonga.
“Il progetto Otonga, realizzato con l’entomologo Giovanni Onore, è estremamente positivo perché costituisce un esempio da imitare per due elementi fondamentali.
In primo luogo i finanziamenti sono stati divisi in parti uguali per acquistare foresta primaria e rimboscare parti degradate e per finanziare borse di studio agli abitanti che vivono intorno la foresta. Operazione fondamentale per il prof. Onore perché ‘si salva solo ciò che si conosce’. Gli abitanti così sono diventati i più assidui difensori della foresta.
In secondo luogo il progetto punta all’autosufficienza affinché, esauriti i finanziamenti, non diventi - come spesso accade - una cattedrale nel deserto destinata all’incuria. Per questo scopo, ai piedi della foresta, è stato costruito una centro di educazione ambientale e una foresteria dove soggiornano gli scienziati che giungono da tutto il mondo per studiare i segreti della foresta primaria. Questi scienziati vengono accompagnati nella foresta dai laureati che hanno studiato grazie alle borse di studio.
Il prof.Onore ha poi messo in piedi la lavorazione artigianale del seme di tagua che per le sue caratteristiche corrisponde esattamente all’avorio tant’è che viene chiamato avorio vegetale. Gli oggetti ottenuti dal seme di tatua oggi vengono venduti in varie parti del mondo”.
Quali sono gli altri progetti attivi oggi?
“Oltre a Otonga abbiamo altri 2 progetti attivi. Operazione Got Owaga, un progetto di riforestazione in Kenya in una zona dedicata alla coltivazione della canna da zucchero, la cui diffusione è stata la prima causa di deforestazione. Il progetto nella sua prima fase si è sviluppato su un appezzamento di 3 ettari con la predisposizione di una piantagione sperimentale per individuare le specie più idonee da piantare e i necessari trattamenti da attuare. Successivamente il terreno è stato recintato, esaminato, ripulito e poi piantumato con varie essenze arboree, prevalentemente autoctone, realizzando anche un vivaio sperimentale. In futuro il progetto prevede la realizzazione di vivai in loco gestiti dalle comunità della zona, in modo che la disponibilità locale di piantine permetta la partecipazione di più agricoltori alle operazioni di riforestazione.
Il progetto Risorgive del Vinchiaruzzo, invece è in provincia di Pordenone. Questa zona è fra le più importanti delle aree umide presenti nella bassa pianura, tanto da essere considerata Zona Speciale di Conservazione (ZSC), riconosciuta a livello europeo. Il progetto prevede l’acquisizione di terreni per rigenerare foresta, conservando lembi di preziosa prateria umida dove presenti, e per offrire un habitat a numerose specie rare di flora e di fauna. Un patrimonio naturale a rischio di estinzione a causa dello sfruttamento agricolo indiscriminato”.
Cos’è una foresta primaria è perché è così importante salvaguardarla?
“È una foresta non modificata dall’uomo e che per questo è rimasta intatta per migliaia se non milioni di anni e in tutto questo tempo Madre Natura - al suo interno - ha sviluppato la più grande biodiversità della terra. Per farvi un esempio in Italia sono state catalogate 270 specie di farfalle, nella foresta Ottonga finora ne sono state catalogate SESSANTAMILA. Quando noi riforestiamo un'area in Europa utilizziamo dalle 5 alle 10 specie di alberi - se non addirittura una sola specie - nella foresta Ottonga ci sono migliaia di alberi diversi. Per capire quanto sia importante la foresta primaria con tutta la sua biodiversità bisogna sapere che oggi siamo nell’era chiamata Antropocene dove in gran parte a causa dell’attività umana, ogni anno perdiamo circa 30.000 specie viventi e stiamo entrando nella sesta estinzione”.